to be me

Il lavoro mobilita

Aprile 9, 2013

Venerdì mi ha chiamata una mia ex collega dicendomi che aveva fatto il mio nome ad una sua vecchia conoscenza, per un lavoro. Serviva una che parlasse un inglese superfluent e lei ha pensato a me. La Stefy è un tesoro e io le sono grata, ciò nonostante il pensiero di quella chiamata che dovevo fare è volato fuori dalla mia testa in un amen, come se non fosse una cosa importante.
E invece lo è!
No?
Insomma non faccio che lagnarmi del fatto che mi stia stretto il ruolo di mamma e basta, che ho bisogno del mio ” posto nel mondo” e dunque? Avrei dovuto chiamare subito, avrei dovuto precipitarmi a telefonare, invece ho fatto passare tre giorni, inconsciamente tra mille scuse, e alla fine il tipo si è fatto dare il numero e mi ha cercata lui.

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Sarà che è tanto tempo che sto chiusa in questa gabbia d’oro e di sale che mi ci sono abituata e mi spaventa cambiare registro.
Sarà che sono una maniaca del controllo e avrei avuto bisogno di un preavviso che mi preparasse all’evento, chessò: un sogno premonitore, un’epifania, un singolare volo di uccelli nel cielo…

Siamo chiari: per quel che ho capito, e per ora è molto poco, si tratta di un’occasione singola che non è detto si ripeta nel tempo, fra l’altro in un campo che non conosco e per cui non sono formata. Dovrei fare su per giù l’interprete sfruttando la mia conoscenza della lingua in occasione di un meeting. Ma, come si suol dire, ogni lasciata è persa, da cosa nasce cosa, e chi non risica non rosica. Potrò quindi sacrificare una giornata della mia consolidata routine, vestirmi come un’adulta e farmi queste due ore nel mondo civile, no?
Ne dovrei persino gioire.
Invece vivo in un disincanto che non mi fa se non ringraziare la sorte, e la mia amica, che ancora si ricordano di me e del fatto che oltre al grembiule c’è di più.

Però lo giuro, lo giuro, io voglio lavorare!
Ci penso spesso, e sono arrivata alla conclusione che quello che mi manca del lavoro, più che la legittimazione sociale, sono le cose piccole, pezzi di una routine che non vivo più da tempo: il caffè americano sulla scrivania, l’i-pod nelle orecchie in metropolitana, i libri divorati appesa ai supporti dell’autobus e l’odore di brioches che c’è in certe stazioni della metro la mattina.
Mi mancano le e-mail da comporre come mosse di un’invisibile partita a scacchi, i progetti che prendono forma e il gusto che ti danno quando, conclusi, si mettono in ordine e si chiudono dentro faldoni e cartelline di plastica. Che poi ha un po’ lo stesso sapore e dà la stessa soddisfazione del fare il cambio di stagione nell’armadio, salvo che quest’ultimo è un piacere del tutto solitario ed autoreferenziale, così come tutta la vita da casalinga, a pensarci bene, che proprio per questo probabilmente sa essere così frustrante. A chi frega che hai abbinato i tovaglioli alla tovaglia e hai sistemato le posate simmetricamente ai lati del piatto, come galateo comanda, a parte a te medesima?

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Adesso mi basterebbe lavorare. C’è stato un momento in cui volevo lavorare “a modo mio”. Avevo messo su una pseudo società con un’amica per offrire la mia professionalità da free-lance: un’idea innovativa, peccato la crisi!
O forse era un’idea idiota e nessuno ha avuto il coraggio di dirmelo. Fatto sta che ho fallito.
Mio marito si arrabbiava quando lo dicevo: ho fallito, ho fallito, ho fallito!
Non è un delitto, è capitato, e chiamarlo con un altro nome non ne avrebbe cambiato la sostanza.
Il nostro logo era un cupcake, avevamo un sito bellissimo e un blog noiosissimo che esisteranno ancora per poco, perché a maggio scade il dominio e così si chiude un’epoca.
Ecco forse è proprio questo il segno che cercavo!

Si chiude una porta e si apre un portone?

Intanto andrò a quell’incontro, accetterò questo incarico e…. se son rose fioriranno.

(toglietemi la tastiera di mano prima che scriva un altro proverbio!!! )

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  • acciaio73 Aprile 10, 2013 at 12:22 pm

    Come e quanto ti capisco.
    Ti capisco.
    Punto.

  • chiara Aprile 16, 2013 at 7:46 am

    carissima mammaduepuntozero, mi ritrovo molto in queste tue parole, anzi oserei azzardare ad un “gemelle divise alla nascita”. Ho appena lasciato anch’io (di nuovo) la mia routine casalinga, un bimbo (per ora solo uno) tutte le mattine dai nonni per affrontare un lavoro no proprio nelle mie corde. Come te mi sono rituffata nel business prima nel Settembre 2012 e la mia autostima aveva deciso di trasofrmarsi un cewingum sotto le scarpe….quindi pensavo che ormai il mio ruolo era quello della moglie/mamma/casalinga frustrata, ma fortunatamente una seconda occasione mi ha riportato nel mondo dei vivi ed ora sono contenta della mia decisione. Non bisogna dimenticare che prima di tutto siamo donne, con tutte i pro e i contro a riguardo ma che hanno bisogno di non essere considerate solo quelle che sistemano la casa.
    Spero quindi che il tuo colloquio sia andato bene
    affettuasamente
    mammacomete

    • mammaduepuntozero Aprile 16, 2013 at 9:30 pm

      Il “colloquio” è andato bene…ma non si risolverà in niente di più che una giornata di lavoro.
      Poi cercherò l’occasione vera, chissà se arriverà ….
      Mammacomeme, quando dici che il lavoro non è nelle tue corde lo dici con la consapevolezza che volevi altro ma questo va bene uguale, o con l’acidità di stomaco?
      Te lo chiedo perché ormai ho deciso che cercherò il “lavoroqualsiasi”, basta lavorare!
      Un abbraccio gemella e grazie della visita
      😉

  • Mezzo Compleanno | mammaduepuntozero Maggio 26, 2013 at 10:03 pm

    […] [ Avevo appena "fallito il mio grande progetto imprenditoriale", ve ne ho parlato già qui, avere un nuovo scopo così a gratis, senza esserselo nemmeno andato a cercare non suonava male, […]

  • Cose belle | meduepuntozero Maggio 12, 2014 at 1:44 pm

    […] Ho avuto belle idee, le ho condivise con le mie “socie”, e loro me le hanno restituite anche più belle, piene di cose nuove a cui io non avevo pensato. E mi è tornata in mente una massima, quella che stava in calce a un certo blog, e che riassumeva la filosofia di un certo progetto… […]