appunti

Una cosa piccola ma buona

Ottobre 17, 2013

 

Oggi le mie sinapsi mi hanno condotta allo scaffale più altro della mia libreria,  a spolverare un certo libro blu e un certo libro viola, che un’esperienza recente mi ha evocato. Si tratta delle due raccolte di Raymond Carver che ho acquistato anni fa, e che ho letto a spizzichi, alla maniera in cui si consumano i cioccolatini da una scatola.
Ci sono sere in cui se ne fa incetta, altre in cui ne basta uno. Quel che è certo, è che c’è sempre spazio per uno di questi dolcetti, in qualsiasi momento di calma, di ispirazione ma anche di noia.
L’esperienza cui mi riferisco è quella di Wor(l)ds, il gioco di scrittura di Cammilla AKA Zelda was a Writer.
I bon bons sono i racconti di Carver.

Carver l’ho approcciato per la prima volta ai tempi della Scuola del Cinema: la mia prof di Regia, ci suggerì la sua lettura proprio per la capacità evocativa delle immagini che Carver mette sulla scena del racconto, in cui i mondi scorrono come dentro un film.

“Se volete imparare a scrivere un film, leggete Carver!”

La mia insegnante aveva ragione: dei racconti che ho letto, a distanza di anni mi rimangono impresse nella mente immagini ben delinate che non saprei più ricollocare dentro la storia cui appartengono, ma che sono ancora cariche di tutte le sensazioni che dovevano veicolare.

Carver ha una scrittura ricca di coordinate e povera di subordinate: non ti spiega i nessi, i perché, i prima. Ti presenta le cose nel loro svolgersi e affida ai particolari il compito di suggerirti quel che non dice.

Ora però non mi accingo a citarvi il brano di un racconto; fate voi: comprate il libro, prendetelo in biblioteca, aprite a caso e cominciate a leggere. Non ve ne pentirete.
Quello che vi vado a citare, è un passo dell’introduzione scritta da Carver stesso a questa raccolta che curò in prima persona, inserendovi, al lordo dei tagli degli editor, i suoi racconti migliori.
E’ un messaggio che mando a tutti i partecipanti a Wor(l)ds, sono certa che loro capiranno e apprezzeranno.

La definizione che V.S. Pritchett dava di racconto è: “qualcosa di intravisto con la coda dell’occhio, di sfuggita”. Prima c’è qualcosa di intravisto. Poi quel qualcosa viene dotato di vita, trasformato in qualcos’altro che illumina l’attimo fuggente e magari si insedierà in modo indelebile nella consapevolezza del lettore.[…] Se siamo fortunati, non importa se scrittori o lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e ce ne resteremo seduti un momento o due in silenzio. Idealmente, ci metteremo a riflettere su quello che abbiamo appena scritto o letto; magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del nostro corpo sarà salita, o scesa, di un grado. Poi, dopo aver ripreso a respirare regolarmente, ci ricomporremo, non importa se scrittori o lettori, ci alzeremo e “creature di sangue caldo e nervi”, come dice un personaggio di Cecov, passeremo alla nostra prossima occupazione: la vita. Sempre la vita.

Raymond Carver, Da Dove Sto Chiamando – Racconti, ed. Minimum Fax, 2003, pag.12-13

Postilla!

In tutte queste settimane, Camilla si è più volte raccomandata in merito alla punteggiatura, che può fare la differenza, quando si legge, fra l’inintellegibilità e l’interesse appassionato, e con la quale più o meno tutti, scrittori, scrivani e scribacchini, ci scorniamo di continuo.
Ecco dunque cosa ha da dire Mr. Carver sull’argomento, sempre nella prefazione al libro di cui sopra.

“Il narratore [Isaac Babel’ – ndr], parlando di Maupassant e dell’arte del narrare, dice: “Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto”.
Appena l’ho letta la prima volta, questa frase mi ha colpito con tutta la forza di una rivelazione. Era proprio quello che volevo fare con i miei racconti: mettere in fila le parole giuste, le immagini precise, ma anche la punteggiatura più efficace e corretta, in modo che il lettore venisse trascinato dentro e coinvolto nella storia, e non potesse distogliere lo sguardo dal testo a meno che non gli andasse a fuoco la casa.”

Raymond Carver, “Da Dove Sto Chiamando – Racconti”, ed. Minimum Fax, 2003, pag.10.

You Might Also Like

  • Wor ( l ) ds – #4 | mammaduepuntozero Ottobre 21, 2013 at 10:12 am

    […] frutto delle liti, degli umori e dei malumori. E frutto anche un po’ del fatto che il giocare a fare Carver mi aveva stufato e a questo punto cominciava a limitarmi e ad […]