storytelling, to be a mom

Programmati per essere felici. O per non esserlo.

Luglio 29, 2014


In vacanza capita di incrociare famiglie di ogni genere.

Italiane, francesi, tedesche, olandesi, di qualche nazionalità dell’est che non sai attribuire.

Puoi vedere bambini biondi, neri, ricci, abbronzati, lentigginosi, monelli, educati, lagnosi, sorridenti.

Incontri preadolescenti ammiccanti dentro corpi di bambine e  adolescenti immusonite dentro corpi di adulte; ottenni imbranati con i sandali di plastica e seienni sgamati con i capelli da femmina; bambini con il tutore incellophanato intorno ad una gamba rotta o con l’apparecchio per i denti; ragazzini con le protesi di Pistorius agli arti inferiori e ragazzine su sedie a rotelle iper-tecnologiche che sanno persino respirare per loro. 

Ci sono genitori sfiancati di sole e di sale dopo lunghe giornate a giocare sulla sabbia, e madri ubriache ai tavolini di un bar a mezza sera, incapaci di mettere insieme una strofa intera della canzone che stanno ascoltando e canticchiano fra i denti, o una frase per il figlio adolescente che siede loro dirimpetto, completamente muto.

Ci sono famiglie di sole donne in cui fatichi a ricostruire le parentele e ad attribuire i figli di pertinenza.
Ci sono coppie serene che leggono su Kindle identici libri diversi, mentre figlie adolescenti incredibilmnete gioviali si arrostiscono al sole con le cuffiette nelle orecchie, proprio lì accanto.

Ci sono gruppi di giovani stanchi dalla sera prima e vecchiette energiche in topless e Louis Vuitton.

Ogni famiglia scrive la sua storia: ne stabilisce il corso (per quanto le sia dato di decidere) e ne fissa gli umori.

Ognuno di noi è programmato per rivivere quella storia già scritta, quegli esatti umori, quei corsi e ricorsi che sfuggono al Destino e sono ad appannaggio esclusivo degli Uomini.

Nella migliore delle ipotesi abbiamo a disposizione una pagina più o meno bianca, senza increspature, la schiena libera da fardelli altrui e una solida rete di emergenza qualche metro sotto i piedi.
Nella peggiore delle ipotesi abbiamo un sentiero angusto costeggiato da grovigli di pensiero che impediscono allo sguardo di spaziare a destra e sinistra, costringendoci ad incedere guardandoci i piedi, portando un peso solo in parte nostro sulle spalle e con la testa piena di voci.

Quando diventiamo una famiglia, la nostra serenità e la nostra felicità cessano di essere un problema esclusivamente nostro, o una conquista personale.

Quando siamo una famiglia, la nostra felicità o la nostra infelicità determinano il destino di qualcun altro della cui storia, in qualche misura, saremo per sempre responsabili.

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