storytelling, to be a mom

Scusami, sono super incasinata. Ci sentiamo martedì!

Aprile 27, 2017

“Scrivi un racconto in prima persona su qualcosa di interessante che ti è successo di recente”

Ho due figlie: Angelica di sette anni e Cecilia di quattro. Entrambe sono in vacanza da scuola per una settimana in occasione della Pasqua.
Oggi è giovedì: il primo giorno. Mi sveglio, anzi, mi svegliano prestissimo: non sono neanche le sette. Come da abitudine consolidata e sconsiderata, le spedisco a guardare la televisione, a fare colazione, ad ammazzarsi di botte sul divano: quello che par loro, purché mi lascino dormire.
La regola dei giorni festivi è che prima delle nove non dovrebbero nemmeno avvicinarsi alla mia camera. La sveglia al led di Ikea coi numeri grandi è deputata a indicare loro da quale momento in poi siano autorizzate a buttarmi giù dal letto.
Naturalmente non hanno rispettato il dictat e mi tormentano già dalle otto, ma la mia ostinazione ha avuto la meglio e ho fatto dentro e fuori da un sogno assurdo svariate volte. Non lo saprei raccontare nel dettaglio, c’entravano un compito che devo fare per il mio corso di scrittura creativa, un importante incontro con il direttore marketing global di Ferrero e una lite con mio marito che non è mai avvenuta.
Ormai sono le nove e mi alzo, ottimista nonostante tutto: ho tutta la mattina per lavorare, il privilegio di farlo in casa e due figlie abbastanza grandi da intrattenersi da sole.

L’errore che ho fatto, quello che manda a pallino tutto il programma, è stato indurle a stare davanti ad uno schermo per un’ora (forse due), così adesso sono irritabili e pigre. Ciondolano senza sapere cosa fare di se stesse. Se non ciondolano, litigano. Se non litigano, chiamano.

“Mammaaa! Non trovo le calze!”
“Mammaaa! Cecilia mi ha toccata!”
“Mammaaa! Devo fare la cacca!”
“Mammaaa! Mi annoio!”

Sono al computer da oltre un’ora e non ho combinato niente. I miei pensieri si fanno più densi e in uno sforzo estremo partorisco quattro mail di numero. Rinvio tutto il rinviabile, cercando di non dare l’impressione di essere inadempiente o peggio inaffidabile. Scrivo: “Ok per la locandina: ci penso io. Non credo di riuscire a mandartela oggi, scusami, sono super incasinata. Ci aggiorniamo martedì”.
Mento senza mentire.

Intanto si è fatta l’ora di pranzo e la prospettiva di cucinare, con tutto ciò che ne consegue, mi atterrisce, così mi faccio venire una nuova brillante idea: “Bambine, vestitevi che usciamo! Mangiamo un panino fuori, facciamo la spesa e poi: shopping da Zara!”.
Il mio tono è quello di Willy Wonka nell’interpretazione di Johnny Depp, quando accoglie i bambini sul cancello della fabbrica di cioccolato: suona entusiasta ma è molto preoccupato; se potesse sottrarsi all’incombenza, lo farebbe. Allo stesso modo, io so che la sfida di gestire due bambine sotto i sette anni dentro un supermercato affollato è improba. Potrei perdere il controllo della situazione ma, a differenza di Willy Wonka, ho esperienza diretta di quanto sia probabile che ciò succeda.

Non smetto il mio sorriso conciliante e infilo la porta di casa insieme a due bambine annoiate, ciondolanti e ora anche molto affamate.

I primi momenti all’Esselunga di via Ripamonti scorrono senza intoppi, se escludo il travaglio della scelta di Cecilia del panino da ordinare (rivelatosi comunque quello sbagliato) e lo smarrimento della scarpa della bambola di Angelica (risoltosi rapidamente grazie alla super-vista del Signore dei Carrelli e alla sua gentilezza d’altri tempi). È quando entriamo nel supermercato vero e proprio che le cose iniziano a farsi toste.
Fatte le dovute raccomandazioni di non allontanarsi, di non correre, di non scatenarsi e di fare attenzione ai carrelli in manovra tra le corsie, superiamosenza traumi la zona frutta e verdura. Guardo le mie figlie vestite come le zingarelle dei campi rom (lasciare che si vestano da sole, dicono, è importante per la costruzione della loro autostima), e mi immedesimo nelle madri nordeuropee viste negli aeroporti e negli alberghi: hanno nugoli di bambini al seguito e li gestiscono con successo senza perdere mai la calma. I loro figli si comportano da bambini senza mai infastidire il prossimo e le seguono senza che queste abbiano mai necessità di urlare.
Voglio essere come loro: le mie figlie sono bambine educate, dopo tutto, se non sarò oppressiva si comporteranno bene e tutti mi guarderanno, ammirando la mia attitudine, la mia naturalezza nel gestirle e il nostro rapporto idilliaco”, così parla la mia voce interiore.

Superiamo la zona dei freschi e ho già dovuto ripetere loro le raccomandazioni fatte all’ingresso; mi trovo a dover specificare: “Camminate faccia avanti, altrimenti non vedete dove andate e, soprattutto, se state per scontrarvi con qualcuno o qualcosa”. Sono bambine, mica soldatini: “È tutto normale”, mi rinfranca la voce di prima.

Quando arrivo in zona pesce la situazione mi è ormai sfuggita di mano. Mentre analizzo l’offerta 3×2 nel banco frigo, infatti, Angelica e Cecilia scappano dietro un carrello stracolmo, spinto da una signora sugli ottanta che le rimbrotta dopo avere rischiato di investirle. Le intravedo sfilare dietro una cortina di pasta Voiello in offerta e imboccare la corsia perpendicolare a quella dove sto io, poi le perdo di vista: Angelica stava trascinando per il collo e a marcia indietro sua sorella, che nonostante tutto rideva. Le vedo risbucare nella corsia sei: corrono a perdifiato schivando i carelli che arrivano in direzione opposta.
La signora di prima mi fissa con un branzino in mano e io mi sento molto poco nordeuropea. Non riesco a capire se il suo sguardo sia di disappunto o misericordia, perché nel frattempo si sta facendo largo in me lo spirito di una matrona mediterranea grassa e sudata, portatrice di un’ancestrale competenza educativa. Mi risuonano in testa frasi tipo: “se ti fai male ti do il resto” e “così vi ho fatto, così vi disfo”, mentre un desiderio inconfessabile di menare le mani sta erodendo quel residuo sentore di vacanza, di libertà e di privilegio.

Raggiungo le due sabotatrici del mio affresco “Maternità al Supermercato” e le afferro per gli avambracci: con una pressione decisa impongo la mia volontà sui loro fragili omeri, intimo loro di smetterla altrimenti “non vi compro proprio niente oggi”, vedo i sorrisi spegnersi sui loro visi, le espressioni diventare scure. Tanto basta a convincermi che quella breve incursione della matrona mediterranea nella mia indole naturalmente nordeuropea sia stata risolutiva.
Ci rimettiamo in cammino, ma prima della corsia otto l’espressione sui loro volti è tornata beffarda e non ricordano più, o fingono di non ricordare, quelle minacce che con soddisfazione potrò mettere in pratica di lì a poco. Nella corsia undici, infatti, Cecilia attacca una lagna perché vuole le compri un libro da colorare dei Super Pigiamini, la sua ossessione del momento.
Replico alle sue richieste con fermezza: “Credi di esserti comportata così bene da poter chiedere un regalo? Non ti compro proprio niente, ti avevo avvisata”.
Lei inscena uno di quei capricci a cui l’esperienza mi ha insegnato a resistere. Il mio metodo è infallibile, anche se richiede un notevole esercizio di volontà e di sacrificare punti di udito: fingo di essere altrove, possibilmente su una spiaggia tropicale, e piano piano la lagna ad altissimi decibel sfuma sullo sfondo. Se mi concentro a sufficienza, posso sentire chiaro il rumore del mare e un ukulele che suona “Somewhere over the rainbow”.

Oggi però lo sforzo non è necessario: la prospettiva di trasferire la spesa dal carrello al tapis roulant della cassa spegne il mantra lamentoso sul nascere, insieme a qualsiasi pretesa di acquisto.

Uscire da quel posto infernale e sparire così dalla vista di chiunque abbia assistito alle loro scorribande e ai miei rimproveri, mi consente di tornare ad immedesimarmi in una maternità patinata e desiderabile. Ci dirigiamo verso la macchina in fila indiana, ognuna trasporta qualcosa: una pianta di orchidea per Angelica, una bottiglietta di yogurt per Cecilia e un libro di Kent Haruf per me.
Avanzo con lo stesso orgoglio tronfio e ottuso di un’anatra in testa alla processione della propria goffa prole: so di avere due bambine graziose e mi figuro dentro a quel quadro con gusto narcisistico e tenerezza stucchevole. È un momento destinato a durare pochissimo, visto che sto per entrare in un altro grande magazzino, per mia libera scelta.

Dicono che errare è umano e perseverare è diabolico. Le madri hanno l’abitudine di parlare di sé alla prima persona plurale, proprio come il diavolo.
Non può essere un caso.


(questo l’ho scritto come compito per il corso di scrittura creativa di Raul Montanari, che sto seguendo; è andato molto bene e sono felice)

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  • alessandra Aprile 27, 2017 at 6:33 pm

    ahahahahahaha mi hai fatto ridere! Ma la domanda delle domande è: qual è il segreto delle mamme del nord ?!?

  • alessandra Aprile 27, 2017 at 6:34 pm

    ahahahahahaha mi hai fatto ridere! Ma la domanda delle domande è: qual è il segreto delle mamme del nord ?!

  • Cate Maggio 1, 2017 at 2:48 pm

    lo spirito di una matrona mediterranea grassa e sudata, portatrice di un’ancestrale competenza educativa.
    é dentro ognuna di noi.
    amen.
    🙂

    • Silvia Azzolina Maggio 1, 2017 at 5:25 pm

      Ma noi preferiamo vederci come delle amazzoni del nord, vero? 😛