Adesso i casi sono due: o state pensando “Mo’ vedi se me lo deve spiegare sta qua, chi è Alessandro Mannarino…”
Oppure state pensando: “Mannarino chi?”
Io facevo parte della seconda categoria fino all’estate scorsa quando, grazie al mio amico Andrea, mi sono convinta a fare l’abbonamento premium a Spotify. Dovete sapere che, già dopo i primi ascolti, Spotify mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stessa, e ha cominciato a propormi musica meravigliosa e adatta a me, anche quando non avevo voglia di cercarmela da sola.
È così che ho scoperto le canzoni di Mannarino, a partire da Apriti Cielo, il disco che è uscito nel 2017 (e che ha esordito in vetta alla classifica FIMI dei dischi più venduti in Italia, nello stesso periodo in cui si celebrava a radio unificate il grande successo dei Baustelle, che però erano solo al secondo posto).
Quest’estate il tour di quel disco ha riempito arene e palazzetti per un totale di centomila biglietti venduti. Centomila, cinque zeri.
E voi non sapete chi è Alessandro Mannarino, per dire.
(NOTA: A inizio anno è uscito il disco Apriti Cielo Live che costituisce un ottimo punto di partenza, se non conoscete l’artista)
Ma dicevo di Apriti Cielo, versione in studio. A parte la canzone che dà il titolo al disco, che è un inno liberatorio e catartico da cui non è difficile farsi coinvolgere (apriti cielo e manda un po’ di sole a tutte le persone, che vivono da sole), mi sono crogiolata per giorni e giorni dentro due canzoni in particolare: “La Frontiera” e “Un’Estate“. Sono canzoni pregne di una malinconia densa e calda, di quelle che ti cullano parlandoti di cose che ti riguardano molto da vicino, partendo da molto lontano.
Un’estate
C’è una coppia di amanti in un motel, che sia ama senza dirselo. L’amore è spaventoso, ti rende vulnerabile (in un’altra canzone, “Al Monte“, dice: ora che ci amiamo, chi ci proteggerà?) e quello che c’è fuori dal motel a ore non t’aiuta: le prospettive sono poche e a senso unico (futuri manovali e ballerine) e per andare senza una guida (soli senza strade) e contro corrente (dentro al grano), ci vogliono coraggio e fortuna. Nasciamo che siamo tutti uguali, eppure un attimo dopo non lo siamo già più: la nostra strada la determinano e la condizionano i luoghi dove nasciamo, le persone con cui cresciamo e c’è chi non ce la fa, e diventa un mostro (fratelli sfortunati, col sangue avvelenato da neonati).
La Frontiera
C’è un’altra coppia che invece, prigioniera di un nemico armato, cammina nella neve davanti a un plotone schierato, e sotto gli occhi dei soldati comincia a fare l’amore (per paura dell’esecuzione o per il dolore). I soldati li guardano e non capiscono: non sanno riconoscere l’amore, la vita. Pensano che si contorcano e gemano in uno spasmo di morte (ecco che cadono a terra, guardate son morti) e invece quei due sono appena venuti (appena rinati). Di guerre nel mondo ce n’è abbastanza per scegliere a quale attribuire questa storia, ma a me è suonato più come il racconto di come stiamo diventando (una voce più forte dell’altra parlò dal balcone), proprio adesso (una folla più grossa dell’altra decise il da fare) e che i risvolti potrebbero essere tremendi, dovremmo riconoscerli perché ci siamo già passati, eppure non lo ricordiamo (e venne il tempo in cui questo paese fu di un solo colore).
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