life in pictures, to be a mom

Il sudore di tuo figlio profuma solo dentro al tuo naso

Maggio 22, 2015

Questa settimana sono stata al Salone Internazionale del Libro di Torino con i miei Dodini. Ma di quello ho raccontato qui, non vorrei ripetermi – vi bastino le foto qui sopra, da sfogliare.

Nello Stand Collettivo Editori per Ragazzi c’era una bella atmosfera: sarà che non ho un paragone, saranno tutti i libri illustrati che ci circondavano, sarà che c’era molto meno rumore tra quelle quattro mura di plexiglass senza soffitto, tenute a battesimo dalle gigantografie degli animali dello Zoom, di quanto ce ne fosse fuori, lungo i tappeti rossi – morbidissimi

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Da noi passavano molti bambini, molti genitori e alcuni Peter Pan.

Un giorno una Signora arriva dritta al mio tavolino, scambiandolo con la cassa come facevano più o meno tutti – chissà perchè… -, e mi chiede se ci siano libri per un bambino di 7 anni. Allora le rispondo cortese che i miei libri sono personalizzati, un prodotto un po’ particolare ma che, in effetti, ho almeno due storie che si adattano a un bimbo di 6/7 anni.
Lei allora mi dice che suo figlio legge anche cose molto complesse, mi chiede di cosa trattino le storie e io le racconto quella del Mare e quella del bimbo che cambia la Storia di Cenerentola. E lei dice che sì, carini, ma suo figlio è proprio avanti. Io la incalzo dicendole che se vuole il libro lo può avere anche per l’iPad e allora lei insiste che ah, suo figlio è un mostro con l’elettronica, tanto che è lui che insegna a lei come usare certi apparecchi perchè, insomma, è davvero speciale.

E io non ho dubbi che questo bambino sia davvero speciale, dal suo punto di vista.
Quello che vorrei dirle è che lo sono anche le mie, di figlie, dal mio punto di vista: speciali, fuori norma, troppo belle per essere vere e sicuramente destinate a cose grandi, enormi, mirabolanti. E che, insomma, è un po’ quello che pensiamo tutte, senza andarlo a raccontare alle commesse dei negozi o alle standiste nelle fiere, perchè in fondo lo sappiamo che probabilmente non è vero che sono così speciali questi nostri bambini, ma al contempo sappiamo che non potrebbero esserlo di più, visto che hanno una caratteristica irripetibile: sono i nostri.

Passiamo mesi a cullarci la pancia come fosse di vetro, poi vegliamo quel ragnetto urlante neanche si dovesse rompere con un abbraccio, o soffocare con un pelucco di lana. Siamo madri per la prima volta e pretendiamo di riscrivere tutto da capo.

Vorremmo la scuola migliore perchè il nostro specialissimo figlio si merita “il Meglio”.
Scandagliamo l’erba dei prati e le maglie del tappeto perchè non incespichino e non cadano.
Selezioniamo il cibo, i vestiti, gli amici e finanche l’aria, perchè non sciupi la perfezione che abbiamo creato dai nostri lombi tanto imprecisi.

E poi?

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Poi arrivano altri figli, o semplicemente la consapevolezza, o ancora l’amor proprio scortato dal buon senso. A volte, il ricordo.

Ci ricordiamo del professore che leggeva il giornale in classe, frapponendosi con il suo menefreghismo tra noi e la filosofia. Siamo sopravvissuti bene anche senza filosofia, a conti fatti, e ancor meglio con certi aneddoti da corridoio, di quelli che riempivano i bigliettini che ci passavamo in classe, sotto i banchi, e che ci ricordiamo ancora adesso (e quante risate).
Ci ricordiamo indelebilmente dell’odioso vestito che punge, delle ballerine troppo strette o degli scarponi da montagna troppo larghi che ci facevano inciampare. Di quella gonna con le ciliegie, improponibile in prima media, ma di cui nostra madre si era innamorata e ci aveva comprato, nostro malgrado, devastandoci la reputazione.
Ci ricordiamo del quartiere in cui vivevamo, che non “offriva niente”, e di come l’abbiamo odiato da ragazzi, ma che da piccoli non trovavamo poi così male, prova ne sia che conserva a tutt’oggi il sentore di casa.

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Ci ricordiamo di tutti gli amici sbagliati, dei fidanzati brutti, degli amanti con l’alito cattivo, delle amiche stronze e dei datori di lavoro arroganti.

E ci ricordiamo  di quanto valgano l’imprecisione, l’ordinarietà, l’imperfezione, quando si tratta di scrivere una vita.

Dentro le pieghe dell’imperfezione, Signora Mia, hanno vissuto i pezzi di lei che l’hanno fatta diversa da chiunque altro.

Ha senso dunque augurarsi, sperare e divulgare questa idea inflazionata che suo figlio sia “speciale”?

Se fossi in lei – ma anche in me, per dirla tutta -, mi augurerei che suo figlio fosse “normale” e che sperimentasse in prima persona tutta l’imprecisione e l’ordinarietà di cui è fatto questo Mondo. Mi augurerei che grazie a queste avesse modo di misurare chi sia e di crescere capace di aspirare persino allo straordinario, che saprà cos’è e quanto è speciale proprio perché tanto poco diffuso.

Che poi, a guardarli un po’ da lontano mentre si muovono in branco come animaletti curiosi e misteriosi, devo dire che il mondo sembra tutt’altro che “ordinario”, anzi. Probabilmente siamo noi che li guastiamo, mentre crescono. Forse proprio con tutte quelle definizioni premature, con le aspettative e con quel continuo proiettarci narcisistico su di loro…

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