storytelling, to be a mom, to be me

Sempre quando piove

Febbraio 24, 2015

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Stamattina ho incontrato un mio ex nel laboratorio di analisi vicino casa, a Milano: un posto imprevedibile, dentro la mia quotidianità di oggi e lontanissimo dalla mia quotidianità di allora, che si svolgeva nella profonda pianura Padana, in provincia.

Lui aveva un camice bianco, mi ha salutata, io ho detto “Oddio, che flash!”, lui mi ha stretto la mano cordialmente e mi ha dato tre baci sulle guance – di quelli che andavano di moda un casino negli anni ’90, in provincia. Poi ha detto qualcosa tipo: “Ho visto una sclerata, non potevi che essere tu”.
O forse non ha detto “sclerata“, ha detto “pazza” o “esaurita” e io ho pensato: “Grazie Mondo che mi hai mandato un messaggero a comunicarmi che ero una sclerata 10 anni fa e lo sono anche adesso. Grazie, lo apprezzo davvero, date le circostanze”.
Non aveva tutti i torti: ero in sala d’attesa, con il numerino fra i denti, svuotavo nervosamente la borsa sulle sedute di metallo attaccate al muro e frugavo scompostamente nel giubbotto alla ricerca di una ricetta che sembrava svanita nel nulla. Probabilmente sudavo. O forse mugugnavo imprecazioni, non ricordo, sicuramente ero fuori di me.

A mia discolpa, posso fare un passo indietro?

Questa mattina ho raccolto le urine di Dodo che presenta i sintomi di una cistite, il che implica che mi sono lavata le mani nella sua pipì prima ancora di essermi tolta le cispe dagli occhi o il pigiama. Ho messo il barattolo nella scatola, l’ho lasciato in bella mostra sulla mensola per non dimenticarmene, poi ho combattuto le solite battaglie quotidiane per far vestire entrambe le figlie, sequestrato le carte del Memory con cui pretendevano di giocare al momento di uscire di casa, ho preparato la borsa con il cambio di Cecetta per il nido, infilato il computer e il telefono nella borsa (ma ho dimenticato l’auricolare), mi sono truccata, pettinata, ho infilato scarpe, cappelli sciarpe, grembiuli e giubbotto a tutte e tre, ho preso gli ombrelli e mi sono dimenticata le urine sulla mensola del bagno.

Piove sempre quando sono incasinata, non può essere un caso.

Mi sono resa conto della dimenticanza solo quando sono stata davanti al nido: troppo tardi per tornare a casa, troppo sbattimento farlo con due bambine al seguito.
Ho deciso che avrei lasciato Cece al nido, poi sarei passata a ritirare la ricetta delle analisi dalla pediatra, avrei accompagnato Dodo all’asilo e quindi sarei tornata a prendere le urine e le avrei portate al laboratorio vicino casa.
Sarei quindi andata in studio per iniziare a lavorare, e grazie al cielo non sono dipendente.
La dottoressa si era dimenticata di fare la ricetta, ma la sua assistente l’ha preparata in un istante, io l’ho piegata, l’ho infilata in tasca e ho continuato il mio giro, sempre sotto l’acqua .

Mentre mi dirigevo a casa a recuperare il barattolo di pipì, ho chiamato il laboratorio, pregandoli di aspettarmi oltre le 10:00, orario di chiusura dell’accettazione e promettendo che “non sarei arrivata oltre le 10:15″. E in effetti così è stato: peccato che il laboratorio, dall’ultima volta che c’ero stata – oltre ad assumere il mio ex – ha cambiato sede, spostandosi due cancelli più avanti. Così ho perso tempo e intanto mi sono resa conto che non avevo più il foglietto dell’impegnativa in tasca. “Boh, l’avrò infilato in borsa e non mi ricordo”, ho pensato.

E invece no: in borsa non c’era, come ho potuto verificare dopo averla svuotata nella sala d’attesa. E intanto erano passati altri 15 minuti e non erano più le 10:15, ma le 10:30 e intanto il mio ex mi ricordava che ero una sclerata anche dieci anni fa, pur non avendo figlie da accompagnare a scuola e a cui far fare le analisi delle urine.

Quando è arrivato il mio turno, ho scoperto che stavo nella fila sbagliata e che l’accettazione per il laboratorio delle analisi cliniche stava in fondo al corridoio: il corridoio più lungo che io ricordi di avere mai percorso.

Altri 10 minuti dopo, all’accettazione, la Signorina del telefono non era più molto ben disposta: erano le 10:40, ben “oltre le 10:15”. Le ho spiegato che non trovavo l’impegnativa, ho cercato di farle pena spiegandole che era proprio un mistero, giacchè io dalla tasca non l’avevo mai tolto e non avevo fatto altro che recarmi lì, dopo avere lasciato lo studio del medico.
Bugia: ero andata anche a casa a prendere il barattolo e infatti è proprio lì che l’avevo persa, non so come. In un ultimo disperato guizzo ho chiamato il portinaio e lui mi ha confermato che in effetti aveva trovato quello stramaledetto foglietto per terra.
Ho implorato la Signorina di aspettarmi, le ho detto che ci avrei messo 10 minuti al massimo ma almeno non avrei perso un’altra mattinata ma lei ovviamente non mi ha creduta: “L’ultima volta che me l’ha promesso, ce ne ha messi quaranta, di minuti”. Non è servito spiegarle dell’inatteso cambio indirizzo, della fila sbagliata, della fatica di tutte le mattine a gestire due bambine di 4 e 2 anni e della difficoltà di star dietro a tutta la montagna di cose di cui hanno sempre bisogno, una montagna la cui altezza è inversamente proporzionale alla loro età, inspiegabilmente.

Mi veniva da piangere, sul serio, ma mi sono trattenuta: in fondo al corridoio di Shining c’era il mio ex che mi ricordava come un’esaurita e non volevo certo confermarlo nella sua idea.
“Sono una giovane madre con i jeans skinny, gli stivali alti, lo sciarpone tartan, il parka, la coda di cavallo e la frangetta: sono figa, sono consapevole, ci sto dentro“.

Ho tirato su il cappuccio, il bordo di pelliccia a incorniciare un’aria seria e composta. Ho incrociato “Ho visto una sclerata” nel corridoio, ho alzato la mano in un saluto quasi marziale, un cenno degli occhi, nessun sorriso e via sotto la pioggia a passi lunghi e ben distesi.

Sono salita in macchina e ho cominciato a piangere come una fontana.

Piangevo perché sono stanca. Piangevo perché erano le undici e non avevo ancora combinato niente, perché ci sono almeno tre camion dell’Amsa a sbarrarmi la strada le mattine che sono in orario, perché non sono quasi mai in orario e così vado sempre di corsa e più devo correre e più piove.

Piangevo perché dormo sempre troppo poco e perché ho troppo poco tempo da rubare alla notte, l’unico momento di quiete assoluta in cui i pensieri si placano e trovano un ordine nel caos delle giornate.

Piangevo perché vorrei un lieto fine al termine di ogni episodio e poi un gran finale di stagione con la musica di Grey’s Anatomy come colonna sonora.

Piangevo perché piangevo e perchè sarei arrivata in ufficio con l’aria sfatta e avrei dovuto dare spiegazioni.
Piangevo perché nessuno mi avrebbe chiesto spiegazioni e infatti così è stato.

A volte penso che ci sia qualcuno che scrive la sceneggiatura delle mie giornate al solo scopo di mettersi lì a guardare e ridere, sadico stronzo. O forse le cose semplicemente mi succedono perché ne possa scrivere.

Forse ho solo bisogno di dormire per 3 giorni di fila.

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  • irene Febbraio 25, 2015 at 9:33 am

    sì, hai bisogno di dormire. Come ne ho bisogno io e tante come noi, sopraffatte da troppe cose da fare, tutte insieme. Non è (solo) la mole di lavoro quotidiano a sfiancarci, ma il fatto non poter mai staccare la spina e di dover stare sempre con le antenne dritte, anche di notte, mentre si dorme. Io ti capisco. Un piantino è lecito, se serve a sfogarsi e a chiarire le idee. Ma poi bisogna riprendersi, mettere in ordine i pezzi e riprendere da dove si è rimaste. Possiamo solo cercare di fare del nostro meglio. Nessun’altro può fare la mamma al posto nostro, probabilmente tra qualche tempo ci rideremo su…

    • Silvia A. Febbraio 25, 2015 at 10:56 am

      Stamattina intanto c’era il sole, e già la giornata è cominciata col piede giusto!
      Grazie Irene…aspetterò con te il momento in cui rideremo di quei pianti.
      :-*

  • Zambe Febbraio 25, 2015 at 11:36 am

    si: eri sclerata anche dieci anni fa, quindi non dar colpa alle tue figlie; si: devi dormire, se non la smetti di non dormire quando puoi ti metto il timer al pc, o ti costringo al pisolino pomeridiano come fai tu con loro in vacanza; si: hai tutta la mia solidarietà, nelle due settimane in cui era via igor mi si sono ammalati due figli su due!!!
    ma soprattutto: chi è l’ex che è diventato medico?

    • Silvia A. Febbraio 25, 2015 at 10:03 pm

      Avrei bisogno di te che mi obblighi a fare il pisolino, in effetti. Io non ci riesco è più forte di me. Parto sempre coi migliori propositi ma l’ultima volta che leggo l’orologio sono sempre le 00:qualcosa…
      Alla tua domanda sono meglio scriverti in privato…ehm…

  • Laura Febbraio 25, 2015 at 11:43 am

    come ti capisco!!!!!
    ma stamattina a Milano c’era un sole tanto bello che L. mi ha detto “accompagno io la nana al nido tu prendi la bici e sfreccia felice in ufficio…” e io ero una bambina che cantava a squarciagola in sella alla mia superbici creata da L.
    🙂
    che la tua giornata continui meravigliosa..

    • Silvia A. Febbraio 28, 2015 at 10:32 am

      Bello sfrecciare in bici…
      (a me l’hanno rubata, però ora sono quasi pronta a comprarne una nuova)

  • ero Lucy Febbraio 25, 2015 at 5:53 pm

    Mi dispiace tanto, pero’ da lettrice ringrazio giornate come questa <3

    • Silvia A. Febbraio 25, 2015 at 10:04 pm

      Che poi chissà come mi giudica una psicologa dopo questo reso conto qua…
      Ma sono lusingata da quella parola “lettrice” che hai usato…
      :-*

  • Mamma avvocato Febbraio 27, 2015 at 6:17 pm

    E io, che ti avevo persa nel mare del blog, ti ritrovo giusto in tempo per dirti che è solo stanchezza e giornate così, purtroppo, capitano a tutte.

    • Silvia A. Febbraio 27, 2015 at 9:31 pm

      Non mi avevi persa tu, mi ero persa io… Negli ultimi mesi ho scritto poco e lavorato molto. Hai visto i miei Dodini??
      …è tutta colpa loro…
      😉

  • NonPuòEssereVero Febbraio 7, 2016 at 3:39 am

    Io comunque, durante nei miei sette mesi a Milano, non ho mai capito perchè i camion dell’Amsa sono sempre lì, in mezzo alle scatole, quando uno ha già le proprie turbe mentali con cui fare i conti…

    • Silvia A. Febbraio 15, 2016 at 11:26 am

      Non me ne parlare. Meno male che la mattina ora ho cambiato giro e non li incrocio più!