storytelling, to be me

Cos’è un freelance

Marzo 27, 2017

Sui freelance sentirai dire tutto e il contrario di tutto.

Ognuno ha la sua idea di cosa sia un freelance, nessuna è sufficientemente accurata da descriverli tutti perché, ve ne sarete accorti, ormai siamo tutti freelance.

Per il fisco il freelance è un ricco professionista con la tendenza ad evadere le tasse. Proprio per questo non si fida e pretende che gli paghi tutto in anticipo: l’iva, i contributi, le tasse, il loculo al cimitero.

Per l’azienda che ti fa lavorare sei un monaco della professione, un Cavaliere del Lavoro Sottopagato. Tutto quello che fai, lo dovresti fare più per passione che per denaro. D’altra parte mica pretendono che ti presenti in ufficio tutti i giorni. Perché dovrebbero pagarti 40€ all’ora, quando un dipendente gliene costa massimo 20 e per giunta si prende la briga di presentarsi ogni mattina in ufficio e per 9 ore di fila in media?

Per il tuo commercialista sei una sostanziale perdita di tempo: non guadagni abbastanza da consentire a lui di alzarti la parcella, deve fare per te tutti i lavori più pallosi senza mai la soddisfazione di un bilancio, di una redistribuzione di capitale, di un piano finanziario. Ti mollerebbe volentieri, se non fosse che gli fai pena e che poi alla fine è un freelance anche lui e in qualche modo deve sbarcare il lunario, anche grazie ai disperati come te.

Per il tuo compagno / compagna di vita sei un ectoplasma. Non sa mai se ci sei o non ci sei, non può fare affidamento né sui tuoi orari, né sul tuo stipendio e quella volta che hai cercato di spiegargli che nel tuo settore la reputation che ti puoi creare su Facebook funziona molto meglio della questua porta a porta dei possibili clienti, gli si è piantato in testa il sospetto che passi il tuo tempo a cazzeggiare sui social ed è proprio per questo che non contribuisci al bilancio familiare con lo stipendio di cui sopra.

Per tua madre e tuo padre sei una ferita aperta e sanguinante. Loro, che ti hanno pagato l’università, inclusi gli anni fuori corso, e non hanno mai ottenuto in cambio la soddisfazione di saperti “sistemato”, in modo da potere finalmente investire liquidazione e pensione in quel bilocale vista porto a Diano Marina.

Per i tuoi figli cresciuti sarai una palla al piede, ma di questo preferirei non parlare per scaramanzia.

Nella mia esperienza un freelance è un povero stronzo che non aveva alternative.

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life in pictures, storytelling, to be me

Il portoghese è una lingua aspra con un cuore gentile

Marzo 20, 2017

praca do comercio

Il portoghese è una lingua dall’involucro aspro ma, sotto la crosta, c’è il latino che la rende gentile.

Capire la natura di questa lingua, equivale a scoprire la natura del popolo che la parla.

Era il Settembre 2003 quando sono arrivata in Erasmus a Lisbona. I miei colleghi di mezza Europa, in meno di un mese dall’inizio dell’anno scolastico, avevano formato gruppi, creato appuntamenti fissi: avevano un bar d’elezione – che io evitavo accuratamente -, si parlavano fra di loro in inglese maccheronico e non sembravano interessati a scoprire i segreti dell’idioma locale. Italiani e spagnoli se la intendevano alla perfezione, complici due lingue che andavano a braccetto. I nordici erano quelli per i quali la lingua risultava più ostica, infatti non l’avrebbero neanche imparata. Molti non ne avevano nemmeno bisogno, visto che in alcune facoltà le lezioni si tenevano in inglese.

Invece io, dopo un primo approccio un po’ ostico, avevo iniziato a familiarizzare con quella lingua aspra.
Dopo qualche settimana riuscivo a capire dove finiva una parola e dove ne iniziava un’altra: un traguardo notevole rispetto alla nebbia dei primi giorni. Avevo individuato alcuni intercalari che ricorrevano, anche se non ne avevo ancora decifrato il senso. Le parolacce me le avevano insegnate Ricardo e Bruno, i due baristi del pub che frequentavo ogni sera. La lezione era stata molto utile ad orientarsi nella parlata di strada:“caralho” e “fodes” erano le esclamazioni che risuonavano di più per le vie del Bairro Alto, specialmente dopo una cert’ora. Isolate quelle, mi ero dedicata con perizia a tutte le altre intorno.
Mi aveva incuriosita subito un’esclamazione che sentivo spesso inaugurare un discorso: “eh pà!”, intraducibile, se non ricorrendo al dialetto. Avevo concluso che fosse assimilabile al “pota” bergamasco, o al “fes” bresciano e avevo deciso che non l’avrei mai usata.

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to be a citizen

Storie della buona notte per mamme di bambine che loro vorrebbero ribelli

Marzo 16, 2017

(purché siano bambine ribelli sì, ma non con loro)

bambine ribelli

Anche perché la ribellione è un fatto relativo: metti che ti ritrovassi una fervente cattolica che ti guarda con biasimo ogni venerdì di quaresima perché stai mangiando l’hamburger, o fumando una sigaretta, o bevendoti la necessaria birretta delle 7 di sera. Non te ne potresti lamentare, avendola cresciuta senza Dio e senza inibizioni.

Se speri in una ragazza ribelle, dovrai mettere in conto che la ribellione sarà necessariamente di segno opposto a quella che è stata la tua.

Tornando al libro, comincerei con l’affermare le ovvietà, per poi archiviarle e passare a cose più interessanti:

Storie della Buona notte per bambine ribelli” è un oggetto bellissimo, che per 19 € potete comprare senza esitazioni.

Le illustrazioni del libro sono bellissime e così la grafica, l’impaginazione e tutto il resto.

Il progetto delle due autrici è stato ambizioso, baciato da quella proverbiale fortuna che premia gli audaci, e investito meritatamente dall’affetto di tutte le decine di migliaia di persone che hanno finanziato il crowdfunding che ne ha reso possibile la pubblicazione.

Il presupposto che sta alla base del progetto è un problema reale e serio: i modelli femminili e maschili nella letteratura per l’infanzia necessitano di una revisione tempestiva.

Ora che siamo d’accordo su almeno quattro cose, vi dirò su cosa non sono d’accordo.

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web

Humans of #SanRemo2017

Febbraio 13, 2017

Quando sentite parlare di “web” come se fosse un’entità a sé stante con dinamiche proprie e pensiero unitario, voi ricordatevi sempre che quel “web” è una sineddoche per “le persone” (cioè si parla di web, che è uno strumento in mano alle persone, per indicare il tutto, cioè “la persone”); o una metonimia, se preferite (cioè si dice web per intendere “la gente che sta nel web”, ci naviga e in certi casi disgraziati ci si esprime pure).

Quando leggi web, tu registra “le persone” e vedrai che la tua percezione del mondo sarà più aderente alla realtà

Se per esempio vi siete trovati nel week end a fare livetwitting davanti a San Remo 2017 (l’unico modo per sopravvivere ai suoi ritmi estenuanti, a mio modo di vedere), avete avuto sotto gli occhi un campione così eterogeneo di persone che vi sareste sognati in altri tempi, quando al massimo lo si guardava dal bar del quartiere, o in casa con gli amici (che di solito sono gente che tende ad assomigliarci e restringe così sensibilmente la nostra percezione della varietà umana).

Prendete il pubblico di #sanremo2017 e troverete un campione di umanità in cui riconoscerete vizi e virtù vostre e altrui

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appunti

Ti starò alla larga

Febbraio 5, 2017

il-piacere-d-annunzio-libreria

Ho una biblioteca di tutto rispetto: un numero di volumi in edizione per lo più tascabile sufficienti a ricoprire due pareti del soggiorno. Ne sono molto orgogliosa, tanto più che li ho letti quasi tutti.

Meno entusiasmo mi provoca, la suddetta biblioteca, quando mi tocca spolverare la libreria, tipo ieri. La prospettiva di mettermi all’opera mi metteva di umore pessimo e ho fatto di tutto pur di ritardare il momento in cui avrei dovuto iniziare. Poi alla fine il momento è arrivato, non si poteva aspettare oltre, e ho iniziato.

Non ero neanche a metà dell’opera, che un libro dalla costa smunta ha attirato la mia attenzione: non se ne leggeva nemmeno più il titolo. L’ho tirato fuori, facendo collassare l’Enrico Brizzi che stava alla sua sinistra sul Christiane F. alla sua destra, e non appena l’immagine di copertina ha fatto capolino dallo scaffale, l’ho subito riconosciuto senza bisogno di leggerne il titolo.

Si trattava di Il Piacere“, di Gabriele D’Annunzio: uno dei miei libri feticcio dei tempi del liceo.

il-piacere-d-annunzioMa non è stato il libro da solo a farmi perdere definitivamente il filo delle mie faccende domestiche. Facendo scorrere veloci le pagine sotto il pollice, in quel modo che mi piace tanto e che fa esalare dai libri quell’odore buonissimo, mi sono accorta che c’era un foglietto ripiegato in quattro tra le pagine. L’ho aperto e mi si è spalancata una finestra sulla mia adolescenza.

“Ci sono momenti in cui ti bacerei all’infinito”

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to be a mom

La mia seconda giornata del giorno

Gennaio 10, 2017

Ogni giorno, prima delle 9:00, io vivo un’intera giornata, dopo la quale si apre la mia seconda giornata del giorno.

la mia seconda giornata del giorno

La sveglia suona alle 6:30 ed è sintonizzata su Radio Deejay e i Vitiello. Non riesco mai ad alzarmi prima delle 7 meno 10 e credo abbia a che fare con il mio metabolismo e che sia ereditario. Una volta in piedi, intanto che le bambine ancora dormono, faccio la doccia in compagnia del gatto (che no, non entra in doccia con me, ma la mattina è particolarmente affettuoso). Poi, quando sono vestita, vado a svegliare loro e, se sono stata proprio brava, succede durante le news tra i Vitiello e il Trio.

Cece, che non ha ereditato il mio metabolismo, si alza a sedere subito e prima ancora di avere aperto gli occhi, e la prima cosa che fa è sorridere. La Dodo, invece, sibila, mugugna, a volte ringhia, mi odia fermamente la mattina quando la sveglio, neanche la scuola l’avessi inventata io e così i suoi orari. Le lascio il suo tempo e intanto che lei si ripiglia le preparo la colazione, sono comprensiva e paziente.

Mia madre, invece, entrava in camera e, con tono di voce intollerabile a qualsiasi ora del giorno, figurarsi la mattina, mi intimava di alzarmi “che era tardi”; spalancava le finestre e non di rado tirava la coperta sotto la quale mi ero rifugiata per proteggermi dalla prospettiva del risveglio, e aveva questo vizio tremendo di arrotondare l’orario per eccesso di almeno 10 minuti: «Alzati! Sono le 7!» e non erano neanche le 6:45. Deve essere per questo che nel tempo ho sviluppato una tendenza fisiologica al ritardo, quasi che l’orario fosse un fatto discrezionale e piuttosto flessibile e non un codice condiviso universalmente. «Sono le 8? E chi può dirlo, magari è l’orologio che mente» e la cosa incredibile è che l’ora del mio telefono ha preso ad andare avanti da sola, di 10 minuti ma con tendenza ad aumentare, il che contribuisce ad aumentare la mia confusione e a validare la mia convinzione, insieme al fatto che non c’è un orologio in casa che sia sincronizzato con l’altro, tutti avanti e difformemente, così che, credendo sempre di stimare l’ora per difetto, riesco ad arrivare comunque in ritardo, con l’unica differenza che non so esattamente di quanto.

Ma sto divagando: eravamo rimasti alla Dodo in camera a combattere la sua personale battaglia contro la routine scolastica e i suoi orari.

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