to be me

Lo spirito dei Capodanni passati

Gennaio 2, 2018

“Priscilla Queen of the Desert”, film, 1994

Il più significativo che abbia vissuto è stato quello del 2000, non serve spiegare il perché.

Dopo anni passati ad aspettarlo e a fare i conti di quanti anni avremmo avuto al cambio del millennio, eccolo lì: scintillante e identico a tutti gli altri.
Ricordo come ero vestita: avevo una maglia bianca attillata sopra un paio di jeans chiari che, con un taglia e cuci assistito da mia nonna sarta, avevo fatto diventare a zampa e avevo decorato con un nastro di lana avorio lavorato a catenella (probabilmente opera di mia mamma), intervallato da anelli in cui avevo applicato paillettes rosa. Quella del jeans ricamato era la moda del momento, che avevo copiato da qualche passerella fotografata su Glamour o da non so che rivista mi influenzasse all’epoca. Il veglione lo abbiamo passato in una discoteca di montagna: ero in vacanza con mia cugina e alcuni amici, più suoi che miei, e non ricordo molto altro.
Tiro a indovinare: a mezzanotte è scattato il trenino al suono di Disco Samba, qualcuno di insignificante ci ha provato in pista dicendomi “sei bellissima”, che poi era esattamente quello che volevo sentirmi dire, ma non sapevo cosa farmene poi di chi mi dava quella soddisfazione. Abbiamo fumato alcune sigarette fuori, sulla neve a meno dieci e senza preoccuparci di buttarci addosso una giacca.
Quella peculiarità della gioventù di non sentire il freddo neanche quando il freddo è tutto quello che c’è intorno, mi sembra una metafora perfetta di un momento della vita in cui ciò che è davvero in grado di aggredirti ed abbatterti, viene esclusivamente da dentro o da molto vicino.
Qualche giorno più tardi mia cugina e i suoi amici sono scesi in città, io invece ho risalito la montagna ancora un po’ e ho passato qualche giorno a sciare insieme a un amico importante e ai suoi amici.

Il mio primo Capodanno a Napoli è stato quello del 2008, eravamo io e mio marito, ancora senza figlie. Il cenone era il più ricco che ricordassi e le portate avevano nomi e sapori sconosciuti. Molti neanche mi piacevano ma non lo potevo dire, io ragazza del Nord in mezzo ad una gigantesca famiglia napoletana che non desiderava altro che mettermi a mio agio. All’epoca capivo un terzo di quel che dicevano, mi sentivo spaesata ma anche felice.
A mezzanotte gli uomini sono scesi in strada a sparare l’arsenale di botti con cui si erano preparati a salutare il nuovo anno.
Li ho sempre odiati i botti, ma anche questo non lo potevo dire lì, nella capitale mondiale dei fuochi d’artificio. Sembrava una guerra ed è durata tantissimo, ma quando pian piano il fuoco si è spento, noi “giovani” siamo usciti e siamo andati in centro. C’era un concerto in piazza Plebiscito, una marea di gente per strada, festa e cibo in ogni angolo e l’odore del mare.
Napoli è bellissima, soprattutto di sera.

Nella mia storia recente c’è stato anche un Capodanno sul divano con la polmonite. Si era ammalato anche il marito, per simpatia o competizione, chi lo sa. I miei genitori sono venuti per cena, poi hanno messo a letto noi e le bambine, e prima di mezzanotte dormivamo tutti. Mi sarei ripresa da quella polmonite solo due mesi dopo, giusto in tempo per rimanere incinta per la seconda volta.
La storia di come è iniziata la tosse che mi si è incistata in petto fino a farmelo scoppiare ve la racconto un’altra volta.

Il Capodanno migliore della mia vita me lo ricordo come fosse ieri, ed è curioso che tra i pochi ricordi vividi della mia infanzia io conservi proprio quello. Ci avevano regalato da poco un video registratore, che io avevo accolto in casa con l’entusiasmo di chi sapeva che quell’aggeggio le avrebbe cambiato la vita.
Eravamo abbonati a Telepiù, da cui registravo decine di film che poi catalogavo con perizia in un quaderno. Ogni tanto mio fratello minore cancellava una delle mie preziose commedie indipendenti americane per registrare uno stupido film di guerra, e lì si rischiava seriamente la tragedia familiare. Per qualche ragione chi finiva in punizione dopo quelle sfuriate ero sempre io.
La sera del 31 i nostri genitori avevano lasciato me e i miei cugini a casa da soli, mentre loro partecipavano ad un veglione a casa di amici, nel quartiere. Noi bambini abbiamo passato la serata a guardare un film dopo l’altro, fin oltre la mezzanotte, e se abbiamo sparato qualche botto (ci scommetterei, mio fratello aveva la passione per i botti) io non me ne ricordo perché ero troppo presa dall’euforia di quell’inusitata libertà.

Il Capodanno più merdoso della mia esistenza è stato quello del 2014, ma lo avrei scoperto solo alcuni giorni dopo.

Non credo negli anni nuovi, come potrei? Ho sempre avuto una gran simpatia per gli anni dispari, visto che sono nata in un anno dispari, e loro mi hanno sempre ricambiata con amare sorprese. Le mie figlie sono nate in anni pari, non deve essere un caso.
Non formulo più buoni propositi, che tanto io sono sempre la stessa e gli anni inziano tutti di primo Gennaio e finiscono tutti di 31 Dicembre, senza un minimo di fantasia. Mi piace la festa, questo sì, ma detesto lo stato in cui mi sveglio la mattina dopo, con i pensieri confusi, le parole sparse in bocca che non esce mai quella giusta quando ti serve e quell’idea fissa di tirare sera per andare a letto un’altra volta.

Mettiamola così: l’anno nuovo può anche ridursi ad un colossale, gigantesco hangover della serata che lo precede. Un’attesa spasmodica di riaddormentarsi per poi svegliarsi e ricominciare tutto da capo un’altra volta.

Questo Capodanno l’ho passato bene, c’è stata una bella festa: ho comprato un vestito nuovo da Zara per meno di 50€, ho messo un rossetto rosso coi poteri magici che ogni volta mi fa chiedere dalla gente “Hey, hai fatto qualcosa ai capelli?”, e invece no: “Ho solo messo il rossetto”, rispondo io. Abbiamo cantato, ballato, tutto con la moderazione che si confà ai nostri (quasi) quarant’anni.

Fosse stato per me, avrei festeggiato anche di più.
Fosse stato per me, avrei cantato più a squarciagola.
Fosse stato per me, mi sarei fumata sigarette all’aria gelida della sera senza neanche una sciarpa addosso.

Sarà che ho smaltito l’hangover del 2016 e sono pronta a ricominciare.

Oppure sarà che sono pronta a mandare tutto definitivamente in vacca.

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